Manifesto per una critica dell’IA

Cos’è

L.I.C.I.A – Laboratorio Informale per la Critica dell’Intelligenza Artificiale – è un laboratorio che ha avuto per oggetto i servizi di creazione automatica di artefatti (testi, immagini, video, audio) a partire da indicazioni verbali generiche che va sotto il nome generico di “Intelligenza Artificiale Generativa”

Perché

Pur avendo sperimentato un certo numero di servizi di IAG online, noi non siamo in grado di fare un esame tecnico dell’IAG (cos’è, come funziona), né pretendiamo di sapere come sarà utilizzata nei vari ambiti lavorativi, come quello educativo.
Possiamo però criticare i discorsi correnti sull’IAG. Criticare significa “valutare le pretese di universalità”:

  • un futuro presentato come necessario
  • un modo d’uso offerto come standard unico
  • il lessico dominante che semplifica e nasconde le differenze
  • certi ruoli già obsoleti codificati come obbligatori
  • certi relazioni, tipiche della cultura occidentale, portate a modello universale.

Quando e come

Il laboratorio si è tenuto online da marzo a giugno 2024 utilizzando – non è un caso ma una scelta precisa – solo strumenti a licenza aperta come:

  • Jitsi per gli incontri in videoconferenza,
  • Framapad per la scrittura collaborativa.

Tutti i software originali usati sono stati scritti da Stefano Penge e rilasciati con licenza GPL.

Alla fine del Laboratorio abbiamo scritto insieme un Manifesto pubblico e, se siete d’accordo con i suoi 10 punti, potete sottoscriverlo qui.

Alcuni documenti introduttivi prodotti dai partecipanti (per esempio, un Lessico, una serie di Recensioni di libri dedicati all’IA, una serie di scritti originali) sono invece scaricabili liberamente da qui.
Hanno partecipato con soddisfazione a questo laboratorio Marco Guastavigna, Rodolfo Marchisio, Monica Oriani e Stefano Penge.

Di seguito i 10 punti del Manifesto, che potete anche riportare nel vostro sito seguendo le istruzioni che sono nella pagina relativa.

I 10 punti del Manifesto

  1. Gli aspetti economici/sociali connessi con l’uso delle IAG vanno presi in esame prima di quelli (pur interessanti) cognitivi, etici, psicologici, antropologici. Non solo in nome di una priorità delle strutture sulle sovrastrutture, ma perché non sono fenomeni naturali, ma prodotti
  2. Le IAG non sono parti della natura, frutti spontanei del progresso, ma prodotti storicamente determinati, voluti da qualcuno per uno scopo. Per questo bisogna guardare anche alla loro creazione/mantenimento, non solo al loro uso da parte degli utenti finali.
  3. IAG non è tutta l’IA. Non solo in prospettiva temporale (c’era un’IA prima delle IAG), ma anche come categoria. Ci sono modi e applicazioni del machine learning che non hanno nulla a che vedere con i Large Language Model e modi dell’IA che non hanno nulla a che vedere con il machine learning.
  4. I servizi di IAG non fanno altro che riprodurre in altre forme la cultura condivisa e catturata. Per questo ci affascinano: sono una forma di specchio di Narciso.
  5. L’IAG è trattamento di simboli (linguistici, visivi, sonori) esistenti per generare nuove sequenze di simboli. Da questo punto di vista è parte dell’informatica tradizionale. La differenza la fanno la maniera in cui vengono costruiti i repertori, la maniera in cui vengono costruiti i prodotti, le dimensioni minime, le funzioni di controllo.
  6. Il risparmio di tempo, la possibilità di fare a meno (dell’acquisizione) delle competenze promessi dall’IAG è un vantaggio, ma non necessariamente per l’utente finale. Sicuramente lo è per il padrone della tecnologia, il datore di lavoro, il consulente, il rivenditore di servizi.
  7. Il ‘marketing’ dell’IAG va preso per quel che è: marketing di un servizio che non ha (ancora) trovato il suo posto come prodotto. Mentre si discute su come scrivere prompt efficaci tutti i produttori di software stanno inserendo funzionalità basata su IAG nei loro prodotti: dal word processor al client di e-mail, dalla piattaforma di e-learning a quella di pubblicazione di news.
  8. Quello educativo è un mercato attraente. Questo spiega il mantra “non si può far finta di niente e non occuparsi di IA ed educazione”. L’idea che i ragazzi di domani avranno ancora a che fare con questa determinata forma di IAG è un po’ ingenua: significa che in vent’anni non si prevede nessun cambiamento.
  9. Ci si concentra sulla questione del riconoscimento del plagio solo in una prospettiva in cui la cultura è un prodotto di proprietà di chi ha i mezzi per produrla.
  10. L’ossessione per la definizione di una “didattica del prompt” sembra un tentativo di depositare un marchio prima degli altri. Questo tentativo è ridicolo e destinato a fallire, perché siamo in una fase di beta-testing dell’IAG

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