Ma perché non sono nato là?

La citazione (che dovrebbe essere chiara per chi ha almeno cinquant’anni) è da Claudio Baglioni, ebbene si, “Viva l’Inghilterra”, anno 1973.

Si riferisce al fatto che mi danno (voce del verbo dannare) almeno dal 1999 intorno alla necessità di un’analisi (socio)linguistica del codice sorgente e non trovo un cane disposto ad ascoltarmi. O quasi, come si vede da http://steve.lynxlab.com/?p=73

Invece in USA e in Canada ci lavorano sul serio, dentro l’università, mettendo insieme ricercatori di linguistica e di informatica. E quest’articolo, pubblicato  nei Proceedings di una conferenza annuale del Psychology of Programming Interest Group che si tiene nel’UK, è finalmente (finalmente?) un esempio pratico di un tentativo reale di applicazione di modelli e strumenti sociolinguistici al codice sorgente da parte di un gruppo di ricercatori dell’Università di Lethbridge. Molto minimale ed embrionale, ma insomma esiste.

Schermata da 2016-10-10 21-59-45

Il tema è quello del genere. Si può riconoscere solo leggendo il codice se l’autore è uomo o donna? Pare di si. E che ce ne importa, diranno i miei piccoli lettori. Ci importa, perché come premettono le autrici, è il primo passo per vedere se nel codice ci sono tracce anche della lingua materna, delle conoscenze pregresse di altri linguaggi, del livello sociale o della cultura generale. E allora? Allora è il primo passo per riconoscere che il codice sorgente è un testo, risultato di un’attività di scrittura, e quindi può contenere  tutte le varianti possibili che una scrittura permette: stili, personalità, mode, esperienze trascorse. Non importa che il lessico sia limitato (ma estensibile a piacere) e che la grammatica sia molto restrittiva (ma permette forme alternative). Un programma, definitely, is not just an implementation of an algorithm which solves a problem. Si scrivono programmi per scopi diversi: per gioco, per sfida, per sperimentazione, per produrre un effetto artistico, per imparare. A monte si sceglie il linguaggio in cui scriverli, il che ha un effetto sull’orientamento generale del programma, su come viene letto, come verrà modificato e come sarà punto di partenza per nuovi programmi.

Ne deriva che quando si insegna a scrivere codice, come quando si insegna a scrivere – ma a scrivere bene – non basta insegnare la grammatica e il lessico. Ci vuole molto, moto di più. Ci vogliono buoni esempi (lettura), modelli, obiettivi, strumenti di valutazione. Ne deriva, probabilmente (ma questa è solo una mia ipotesi) che chi legge e scrive molto, programma meglio; che introdurre lo studio di come si crea e sviluppa una storia permetterebbe di ottenere dei codici sorgenti migliori, che come le buone storie “si reggono”. Le buone storie si tramandano nei secoli, come le fiabe; forse è così anche per i buoni programmi.

Rice, J. E., I. Genee, and F. Naz. “Linking linguistics and programming: How to start?(work in progress).” Proc. 25th Annual Psychology of Programming Interest Group Conference-PPIG. 2014.

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