I limericks sono dei componimenti poetici resi famosi da Edward Lear con i suoi nonsense. Ne ha scritti anche Rodari per mostrare i legami tra gioco, creazione linguistica e apprendimento. Ci sono esempi di lavori didattici di insegnanti elementari su questo tema, come questi di una quinta: http://maestrazicchetto.blogspot.it/2012/03/i-nostri-limerick.html o questi altri https://sonoilmaiestro.wordpress.com/tag/limerick/.
Si prestano bene, nella loro semplicità, per ragionare produttivamente in classe di poesia, di metri, di rime. Inoltre, per la loro tradizione umoristica, permettono di affrontare la poesia senza l’alone di magia che circonda l’opera del poeta.
Naturalmente oltre alla poesia, si possono andare a studiare altre forme chiuse di testo (una lettera, una ricetta) per distinguere tra struttura e contenuto, tra sintassi e lessico, per impadronirsi del concetto di vincolo e della sua relazione con la creatività. In generale, trovo che sia un modo di presentare il significato di “grammatica” (nel senso in cui viene usata in ambito informatico: delle regole che permettono di costruire un testo) che è meno ostile di quello tradizionale, e si può riconciliare con quello.
L’attività che ho immaginato è divisa in tre parti: la scrittura di limericks, la generazione casuale di limericks (a mano) e infine la generazione automatica di limericks (scrivendo un programma che lo faccia per noi). Il motivo di questa sequenza sta nel vecchio adagio: se si è in grado di spiegare a qualcuno come fare una cosa significa che la si è capita bene.
Ora immagino facilmente che qualcuno possa obiettare che così si insegna a trattare i testi con la sola logica combinatoria, che è un virus che ormai contagia la maggior parte dei ragazzi fin dalle elementari (una descrizione più lunga del problema in questo post di Mariangela Galatea Vaglio: http://nonvolevofarelaprof.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/01/28/fategli-fare-i-riassunti-piccolo-vademecum-perche-gli-alunni-non-diventino-analfabeti-funzionali/). E’ anche facile associare la logica combinatoria ai computer e scaricare sull’una le malefatte dell’altro, o viceversa.
Il punto di questa proposta di attività è proprio questo: mostrare sensibilmente come un programma che genera testi in una forma chiusa a partire da elementi minimi presenti in un archivio deve essere molto sofisticato per riuscire a produrre qualcosa di somigliante ad un testo scritto da un umano. Sofisticato non significa intelligente: significa che deve possedere le competenze per categorizzare, cercare, sostituire, mettere insieme. Ad un grado molto semplice, permette di costruire slogan; ad uno più complesso, email, fino ai plot dei romanzi alla Dan Brown (come questo: http://www.polygen.org/it/grammatiche/cultura/ita/danbrown.grm) o ai finti articoli scientifici per ingannare i valutatori delle riviste (come questo: http://www.elsewhere.org/pomo/)
E anche così, la piacevolezza del risultato deriva più dagli aspetti incongrui, dalle assurdità involontarie (involontarie?) che da una coerenza semantica, che non c’è. Ma questo è un modo per insegnare a vedere questa differenza. Per chi ha presente il test di Turing, si può immaginarne una versione meno pretenziosa: si raccolgono insieme limericks prodotti dal programma e limericks scritti dai ragazzi, e si chiede di distinguerli. E poi di spiegare la differenza. Trovo che questa modalità sia più efficace di continuare a ripetere “dillo con parole tue”.
Nel link sotto trovate l’attività completa di codici sorgenti (in Kojo, in Logo e in Prolog).