Sei mesi fa sarebbe stato difficile da credere. Oggi il Lazio si autodefinisce, e con ragione, una regione all’avanguardia nel cammino verso gli opendata. Non soltanto la Regione ha fatto in tempo a promulgare una Legge Regionale (la terza in Italia dopo quella del Piemonte e della Puglia), ma a breve distanza sono stati aperti ufficialmente il portale opendata di Roma Capitale http://dati.comune.roma.it/) e quello della Provincia (http://www.opendata.provincia.roma.it/). Il tutto avviene nella stessa settimana in cui il Governo con l’art. 9 del secondo “Decreto Crescita” dichiara obbligatoria la pubblicazione di dati aperti da parte della PA.
Un decimo dei data set italiani è ospitato ora nel Lazio (anche se la recente infografica del portale nazionale ancora non ne tiene conto). In numeri assoluti non è molto se confrontiamo i 3300 dataset italiani con i 350.000 francesi, ma è sempre un inizio promettente.
E’ interessante confrontare le piattaforme utilizzate da Comune e Provincia, non tanto per stabilire supremazie inutili, quanto per capire meglio il significato che viene dato all’operazione di “liberazione dei dati”.
Il portale della Provincia utilizza CKAN (http://ckan.org/), un sistema che comprende un archivio, un indice e un sistema di versioning. Mostra in home page una tag cloud dei temi ricorrenti, permette la ricerca libera. I dati sono in formato XML, oltre che in CSV e in TSV. Sono resi pubblici i metadati per accedere in maniera automatica.
Il portale di Roma Capitale è molto più essenziale e punta sulla semplicità. E’ basato su Drupal, con un tema chiaro e accessibile. I dati sono in formato CSV, con alcune eccezioni in KML (per i dati georeferenziati). Copre categorie come “elezioni” o “biblioteche”.
Le due interpretazioni del valore degli opendata si possono vedere anche solo confrontando le due pagine di informazioni generali: discorsiva e “politica” l’una (http://dati.comune.roma.it/progetto), sintetica e “tecnica” l’altra (http://www.opendata.provincia.roma.it/about).
Una punta al cittadino, che può trovare e consultare informazioni senza bisogno di competenze o software particolari (il CSV si legge con qualsiasi foglio di calcolo); l’altra punta alla costruzione di servizi innovativi da parte di terzi (privati o pubblici), e quindi enfatizza l’uso di formati e protocolli standard.
Sono le due interpretazioni (in qualche modo ortogonali) del valore e dell’urgenza degli opendata: trasparenza e sviluppo. Che chiaramente sono collegate fra loro in una visione in cui democrazia significa dare a tutti le stesse informazioni e le stesse opportunità di sviluppo. Non c’è sviluppo senza trasparenza.
Sarebbe però opportuno che invece che ad una crescente differenziazione si puntasse ad una soluzione integrata che salvaguardasse sia la trasparenza (l’accessibilità) che la funzionalità (gli standard). E sarebbe meraviglioso poter dire ai cittadini e alle imprese del Lazio che presto potranno utilizzare una procedura unica, o almeno due procedure simili, per accedere ai dati del Comune e a quelli della Provincia (in attesa di quelli della Regione…).
Due considerazioni finali.
1. Oggi i dati per essere pubblicati vengono convertiti – all’interno degli uffici delle PA che li producono, presumibilmente a mano – da un formato chiuso, o non standard, ad un altro aperto. Questo processo ha un costo (in termini di tempo e di risorse consumate) e deve essere visto solo come una fase transitoria, in attesa del momento in cui i dati verranno prodotti direttamente in un formato aperto, e non avranno bisogno di essere convertiti in un secondo momento. Si tratta di un cambiamento che andrà a modificare gli strumenti utilizzati dell’ente pubblico nel suo lavoro quotidiano, che richiederà la sostituzione di elementi della catena di produzione dei dati, o più verosimilmente l’inserimento di strati intermedi che non si limitino alla conversione finale dei dati ma permettano anche operazioni di mantenimento, aggiornamento, etc.
2. Dalla considerazione precedente deriva un’altra riflessione. I dati hanno valore esclusivamente se sono validi e aggiornati. Per questo la difficoltà non è tanto pubblicare un dataset, ma assicurare nel tempo un processo di aggiornamento, verifica, correzione e validazione. Il valore di ogni applicazione (web o mobile) che voglia far uso di quei dati dipende dalla qualità dei dati stessi nel tempo. A livello nazionale non è stata definito un formato unico, né una piattaforma unica per pubblicare dati aperti.
Quello che serve ora è la definizione di un ciclo di tipo industriale che garantisca tanto i cittadini (trasparenza) che le imprese (sviluppo) che i dati pubblicati sono sempre validi e aggiornati. Dovranno essere precisati i protocolli, l’uso delle risorse, i ruoli di controllo, gli strumenti di verifica (nonché quelli normativi) che permettano di avere fiducia nella validita dei dati aperti durante tutto il loro ciclo di vita. Si tratta di un cambiamento che va a toccare i processi organizzativi dell’ente pubblico. E questo naturalmente è ancora più complesso e lungo della sostituzione di strumenti tecnologici.
E’ in queste due direzioni – sviluppo di strumenti integrati e formazione per il cambiamento organizzativo – che gli sforzi vanno concentrati ora.
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