Imbuti metaforici

A proposito della questione dell’imbuto di Norimberga, mi è tornata in mente una lezione di Bruno Cermignani, il mio amato professore di Filosofia della Scienza a Villa Mirafiori, che ci avvertiva dei rischi che si corrono quando si usa una metafora astratta per comprendere un’esperienza concreta. L’esempio che faceva era quello della conoscenza come specchio del mondo. Astratta, perché del fenomeno del rispecchiamento prendeva solo l’idea, ma non la realtà. Uno specchio non riflette sempre l’oggetto che gli sta di fronte, e l’immagine non è affatto realistica. Ci sono le leggi dell’ottica (la riflessione e l’inversione dell’immagine), ma anche altre condizioni reali, come l’umidità (lo specchio appannato) e la temperatura che può distorcere lo specchio, fino a fonderlo. Uno specchio in un forno non riflette un bel niente.

L’insegnamento come riversamento della conoscenza nella testa di uno studente tramite un imbuto è un caso dello stesso fenomeno. Prima di ridere dell’ingenuità di chi parla di riempire gli imbuti, proviamo a prenderla sul serio (la metafora) e a toglierle la dose di astrattezza. Se l’imbuto fosse una buona metafora dell’insegnamento, allora…

Quando

Prima di tutto: quando si usa un imbuto? Per esempio: da una damigiana di vino o di olio voglio riempire tanta bottiglie più piccole: si chiama travaso. E’ utile per distribuire un bene, per farlo viaggiare, o conservarlo meglio. Magari perché da un Sangiovese volgare si vuole ottenere un magnifico Brunello, che come ognuno sa deve stare in bottiglia almeno cinque anni.

E perché ha quella forma? Il flusso che esce dalla damigiana (che ha una bocca più larga) è maggiore di quello che potrebbe assorbire la bottiglia, che ha un collo piccolo. Se non ho una buona vista e una mano più che ferma rischio di rovesciare e disperdere il prezioso liquido. L’imbuto ha una bocca ancora più larga di quella della damigiana, e poi si restringe. Così si può sbagliare, sia in termini orizzontali (se sbaglio la direzione il liquido non va nel buco) che verticali (se esagero con l’inclinazione verso un flusso troppo importante che la bottiglia non riesce ad assorbire). L’imbuto ha senso perché ha una tolleranza all’errore maggiore di quello del collo della bottiglia; e ha senso se il liquido che si vuole travasare è prezioso.

Cosa e come

Che tipo di contenuto si può travasare con un imbuto? Beh, non uno qualsiasi. Deve avere della caratteristiche fisiche precise: i liquidi vanno bene, i gas no (perché sono più leggeri dell’aria; ma in questo caso si potrebbe pensare ad usare un imbuto al contrario, con la bocca in basso?). Si può travasare il mercurio? C’è la questione dell’attrito: alcuni liquidi sono più viscosi di altri e vanno versati più lentamente perché altrimenti non riescono a passare.

I solidi? Anche, ma devono essere aggregati in particelle molto piccole (come lo zucchero, il sale, la farina); ma questi aggregati, soprattutto se umidi, tendono a creare degli intasamenti perché si aggregano troppo, in malloppi più grandi della tubo dell’imbuto. Se sono troppo leggeri, mentre si versano si disperdono nell’aria, quindi bisogna tener conto di una percentuale di perdita maggiore di quella dei liquidi.

Quindi bisogna fare attenzione non solo al contenuto, ma anche alle condizioni intorno, per esempio a quelle meteorologiche.

Certo non basta averlo, l’imbuto: bisogna anche usarlo bene. Bisogna assicurarsi che l’imbuto stia ben fermo, quindi sarebbe meglio tenerlo con una mano mentre con l’altra si versa il contenuto; ma se si parte dalla famosa damigiana di Brunello, è difficile che ci si riesca. Allora ci si può far aiutare da qualcun altro.

Bisogna assicurarsi che sia pulito: l’olio irrancidisce a contatto con l’aria, il vino diventa aceto, la benzina è velenosa. Va pulito alla fine dell’operazione, oppure all’inizio, o meglio tutte e due le volte. Va anche controllato che non si fessurato, per usura o per un colpo, altrimenti fuoriesce tutto lungo i bordi. E’ un modo per dire che gli strumenti vanno manutenuti.

Alla fine dell’operazione, buttato via l’imbuto, bisogna tappare la bottiglia, altrimenti è tutto inutile.

Conclusioni

Che possiamo concludere? Che l’imbuto non è una (buona o cattiva) metafora dell’insegnamento, ma dei metodi e degli strumenti che si usano quando si vuole travasare conoscenza per distribuirla nel mondo.

Metodi che servono a controllare il travaso, a evitare che ci sia dispersione.

Strumenti che funzionano con certi tipi di conoscenze, o conoscenze in certa forma (fluida, cioè non strutturata fortemente, o molto parcellizzata). Strumenti che vanno manutenuti, verificati, controllati.

E poi c’è il rischio di intasamento: a cosa corrisponde? Per esempio ad un ritmo esagerato di versamento; o a una condizione sociale invasiva, oppure ad una conoscenza che tende a coagulare, a fare “mappazza”.

E se uno non vuole travasare conoscenza? Si poteva usare una metafora diversa? Certo. Per esempio, mescolare farina burro e uova per fare una torta. Oppure piantare un seme nel terriccio e innaffiarlo. O covare un uovo. Far cadere un granello di sabbia in una soluzione sovrassatura.

E per ogni metafora si poteva andare a scavare sulle sue condizioni reali d’uso.


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