Critical Code Studies è un’etichetta che copre le attività di discussione e studio del codice sorgente che si svolgono presso l’Università della Southern California (Humanities and Critical Code Studies Lab, HaCCS).
Oggetto di studio sono i codici sorgente, cioè quella cosa scritta da umani (per lo più) e che poi viene eseguita dai computer, telefoni, satelliti, droni, etc. Solo che, avete letto bene, non è il dipartimento di Computer Science che se ne occupa.
“Critical” è un termine chiave. Si può leggere in due modi: il primo è come parallelismo alla critica letteraria, cioè come richiamo all’utilizzo di approcci e tecniche che finora sono state applicate ai testi tradizionali (digitalizzati o meno). Significa che i codice sorgenti vengono trattati come opere, con una dignità che va oltre quella di pure macchine strumentali fatte di codici binari. Un codice sorgente è scritto in un linguaggio (uno dei circa 2500 censiti), e viene non solo scritto per essere “interpretato” dal computer, ma anche per essere letto, discusso, modificato, copiato. E – come è normale per ogni prodotto di scrittura – presenta aspetti estetici, stilistici, retorici. Se esistono poesie scritte in linguaggi di programmazione (la prestigiosa e serissima Stanford University fa annualmente un concorso, http://stanford.edu/~mkagen/codepoetryslam/), virus presentati come opere d’arte http://0100101110101101.org/biennale-py/, programmi scritti per sfidare il lettore alla loro comprensione http://ioccc.org/, linguaggi in cui si programma usando i colori in omaggio a Mondrian http://progopedia.com/language/piet/, significherà pure qualcosa.
L’altro senso di “Critical” è più forte: indica che non ci si vuole limitare a studiare i testi, ma anche i contesti della loro produzione e uso. Significa che l’approccio usato vuole tener conto anche delle questioni di genere, di cultura, di divario economico. Perché non basta allenare i bambini al pensiero algoritmico: il software è qualcosa di ben più complesso di un algoritmo che muove un pupazzetto su uno schermo.
Per farsi un’idea, si può leggere questa introduzione di Mark Marino, del 2006: http://www.electronicbookreview.com/thread/electropoetics/codology
Trovate tanti riferimenti alle persone che hanno riflettuto su questo tema: da John Cayley a Florian Cramer, Loss Pequeño Glazier, Geoff Cox, Alex McClean, Adrian Ward.
A partire dal 2010, viene tenuto annualmente un Working Group (http://haccslab.com/) dove si possono discutere online frammenti di codice. Quello di quest’anno è appena cominciato.
Tutto questo accade a Los Angeles, USA.
Qui da noi, sono anni – almeno dal 1999 – che cerco di impostare un lavoro simile (con seminari, articoli, slide, wiki: http://ada.lynxlab.com/staff/steve/public/docu/lidia/), ma ahimé senza molto successo. Ma sono io che ho sbagliato Paese.