Mi è stato fatto notare, anche implicitamente, che ho una posizione contraddittoria sull’intelligenza artificiale, in particolare sul suo uso a scuola.
“Ma come, proprio tu sei contrario? Tu che hai iniziato a fare coding ante litteram nei primi anni ’90 col Logo e il BASIC?
Che hai scritto software educativi persino per i poveri bambini della scuola dell’infanzia? Che hai progettato piattaforme di e-learning come se non ci fosse un domani?”
E’ vero, l’ho fatto, e non me ne pento (pure se di qualche errore di ingenuità mi sono reso colpevole, come quando parlavo del “digitale”).
“Ah ecco, sei il solito boomer: la tecnologia di quando eri giovane tu era buona, quella che non capisci è cattiva.”
Nemmeno questo è vero, in fondo proprio in questi ultimi anni ho lavorato in una startup innovativa che si occupa di machine learning.
E’ che la tecnologia che mi convince è quella che gli utenti possono controllare. Anzi il termine “utente” è stretto, sbagliato: chi usa un software dovrebbe sempre essere in condizione di modificarlo, di esserne co-autore.
“Ancora con ‘sta storia dell’opensource… ma è roba per i computer vecchi, che non funziona mai”
Beh, quello smartphone che hai in mano in teoria è basato su un sistema operativo opensource; poi che Google abbia appena annunciato che solo lui può decidere cosa e quando aggiornarlo è un’altra storia.
“Ti scoccia che siano servizi gratuiti, eh? Come quando Google regalava la sua piattaforma per la didattica digitale… sei geloso”
Sì, mi scoccia sì, perché anche dietro l’open source ci deve essere qualcuno che lavora ed è pagato, non è mica una storia di dame di San Vincenzo. Invece “regalare” un servizio da parte di qualcuno che può permetterselo perché in cambio ottiene dati e guadagna dalla pubblicità profilata significa cancellare dal mercato i piccoli fornitori e rendere inutile la formazione professionale tecnica dei giovani: che studiano a fare?
“Insomma qual è il problema?”
Sono diversi.
Qui stiamo parlando di servizi che non sono controllabili da chi li usa, e in qualche misura nemmeno da chi li produce.
Che sono diffusi gratuitamente perché noi tutti ne facciamo un gigantesco beta-test in attesa di costruire l’ennesimo monopolio.
Che non sono sviluppati per farci crescere, ma per far guadagnare di più qualcuno che guadagna già moltissimo
Che puntano a far risparmiare i veri clienti (che non sono le persone ma le aziende, private o pubbliche) sostituendo le persone nei ruoli legati alla trasformazione delle conoscenza.
Che si cominciano a rivolgere alla scuola perché tutto sommato – come hanno capito da anni le case editrici – è un bel mercato.
E allora ecco il marketing bugiardo che punta tutto sulla negazione del futuro (“certo, non vogliamo sostituire gli insegnanti, nooooo”) e sulla infantilizzazione della scuola (“…anzi togliamo loro le incombenze burocratiche tipo la realizzazione dei materiali didattici e la valutazione e li rendiamo liberi di concentrarsi sugli aspetti relazionali e affettivi”).
“E quindi secondo te dovremmo ficcare la testa nella sabbia ?”
Ma insomma, si può sapere perché l’unica domanda dovrebbe essere “come utilizzare in fretta l’intelligenza artificiale nella scuola primaria (in maniera critica bla bla”) e non, prima di tutto, “perché diavolo dovremmo utilizzarla?” e poi, semmai, “quale?”
Neo-luddismo
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