Mi piace imparare, da quando ero piccolo. Passo anche parecchio tempo a guardarmi imparare. Per esempio, quando vado in piscina, non sto semplicemente nuotando, sono in “learning mode”. Che è una modalità di fare le cose osservandosi e cercando di farle meglio. Però funziona solo se uno sa osservarsi e sa cosa è “meglio”, e queste due cose vanno imparate.
Non ho mai saputo nuotare, perché i miei genitori non me l’hanno insegnato (non sapevano nuotare nemmeno loro) e da piccolo mi hanno fatto fare atletica, minibasket, pallavolo, calcio, insomma tutto meno nuoto. Quelle cose “poi prende freddo e mi si ammala”. O magari era la loro paura ancestrale dell’infinito mare.
Mi sono arrangiato per quasi sessant’anni, questione di restare a galla e non sfigurare con le ragazze. Qualche estate fa, durante una vacanza al mare, c’erano gli amici che esploravano grotte, andavano su e giù, seguivano i pesci, mentre io dopo due bracciate ansimavo e gli facevo cenno di andare, andare, andare. Una noia mortale. Così mi sono stufato ho deciso di provvedere. Tornato a casa, ho guardato qualche tutorial (francesi, russi e americani: davvero notevoli). La cosa che ho appreso dai tutorial è la teoria del nuoto. Poi l’ho trasformata in abilità, nel senso che ho imparato a fare quei movimenti (a terra). Quello che mi mancava è la competenza, la capacità di applicare quelle abilità nel contesto acquatico. A quel punto mi sono iscritto in una piscina, con un’istruttrice che mi seguiva.
Le cose sono migliorate e ora inseguo anch’io i pesci colorati. Non ho imparato a nuotare, come una cosa che prima non sapevo fare e ora sì. Ma so valutare, so riconoscere i momenti in cui le cose funzionano. Questa particolare competenza, di secondo grado, è quella che mi permette di continuare a imparare. E’ questa competenza che è cruciale e che andrebbe perseguita esplicitamente, il più presto possibile, in modo che anche da bambini si possa imparare in autonomia.
Adesso vado in piscina regolarmente, ma vado ancora a imparare. Penso che continuerò a imparare finché nuoto. Anche adesso, che non ho più qualcuno che mi assegna esercizi e che mi valuta, sto imparando. Ma ho ancora bisogno di valutazione
Che significa “imparare”?
0. Prima di tutto: in piscina si va per imparare? Come se il vero nuoto fosse nell’acqua salata, come se uno davvero volesse nuotare per andare da qui a lì invece di prendersi un pattìno. Nella maggior parte dei casi, i ragazzi che vedo fare dieci chilometri in piscina quando vanno al mare fanno due bracciate e hanno paura di allontanarsi dalla riva. C’è un “nuotare in piscina” che è un valore di per sé. Si fanno le gare, si dimagrisce, si fa cardiofitness. Insomma questa cosa dei due tempi (1. scuola 2. lavoro) è un po’ limitante come visione, non corrisponde alla realtà. Ci sono ambienti dove si apprende e si esercita l’apprendimento senza secondi fini. Non è nemmeno vero che si impara per acquisire l’arte e metterla da parte. Imparare fa bene di per sé. Imparare è piacevole di per sé.
1. L’istruttrice cercava di inventarsi un modo per insegnarmi efficacemente, ma era abituata ai ragazzini ai quali basta dire “fai così” e lo fanno. A noi anziani serve capire bene, ci devono ripetere le cose a lungo; poi, una volta capito con la testa, bisogna che lo capisca il corpo. Questo passaggio dalla teoria alla pratica sembra essere ignorato nella maggior parte della formazione non-sportiva. Sì, ci sono gli esercizi i cui si fa pratica (in matematica e in lingua), ma più spesso ci sono solo quiz relativi alla teoria (storia, geografia, …). Quiz che interrompono la pratica. Invece quando si impara uno sport la valutazione è continua. L’istruttrice, santa donna, mi guardava fare un paio di vasche e mi ripeteva “Sei scoordinato!”. Lo so che non va bene, mi deprimo anche un po’, ma che devo fare? Più cerco di controllare i movimenti, meno sono fluido. Come ci si coordina? Lei diceva: “Immagina un delfino, pensa a come ondeggia la coda per spostarsi”. Sì, lo immagino benissimo. Che ci faccio con quest’immagine?
2. I movimenti della braccia e quelli delle gambe devono avere lo stesso ritmo o un ritmo compatibile. Questo ritmo (insieme a quello del respiro e del movimento della testa) fa sì che lavorino insieme e non le une contro le altre. Il ritmo unico non è dello stesso ordine dell’abilità di muovere le gambe e le braccia: come nella danza, è un controllo di tutti i movimenti in modo che si riferiscano ad un orologio unico, anziché ognuno al suo. Concentrarsi su un blocco alla volta non funziona: appena lasci andare la concentrazione sulle gambe, scendono e diventano un peso per tutto il resto. Il ritmo è una competenza globale, non locale.
La stessa cosa succedo quando si parla: vocabolario e grammatica vanno coordinati in modo che non si diano fastidio a vicenda. Non basta gestirli anche bene ma separatamente. L’obiettivo da condividere con gli studenti quando si insegna una lingua straniera – mi conferma mia moglie che insegna francese – è questa unità, non le singole abilità.
3. Si arriva ad avere un ritmo unico dopo tanto tempo. Ci sono dei lunghi periodi in cui pare che non succeda nulla (i plateaux), poi improvvisamente c’è un gradino. Anche questa è una cosa che i maestri di nuoto dicono spesso: ci vuole tempo. E non è che da quel momento in poi sia tutto a posto: non si è “acquisito” niente, le competenze non sono oggetti che si comprano e mettono in tasca una volta per sempre. Ma dopo un gradino, la probabilità che in futuro si riesca ancora a muoversi a ritmo aumenta. Ad ogni gradino aumenta la fiducia; con la fiducia si osa un po’ di più, cioè si controlla meno a livello di elemento e più a livello globale, e questo finisce per migliorare il ritmo. Quindi c’è un doppio effetto: si migliora per l’esercizio ma si migliora anche perché si ha fiducia di star migliorando. Non è una magia, è solo l’effetto dello spostamento del controllo ad un livello più alto.
Competenza è una parola per indicare che la probabilità di fare la cosa giusta al momento giusto è più alta di prima. Quindi fatevene una ragione: si può parlare di competenza solo se c’è una valutazione. La competenza è la forma nelle nuvole che ci fa dire: può darsi che piova.
4. Quando succede, all’inizio raramente e poi sempre più frequentemente, il corpo si muove meglio. Che vuol dire meglio? Ci sono dei parametri: più velocemente, con meno rumore (parametri esterni) e meno fatica (parametro interno). Mi arrischierei a dire che in quei momenti, con tutti i miei chili di troppo, mi muovo con eleganza; il resto del tempo, sguazzo. L’eleganza però – a differenza della fatica, della velocità e del rumore – non è un parametro tanto facile da descrivere e misurare. Anzi, mi sa che non è un parametro oggettivo, ma soggettivo. Però è quello che riassume meglio la differenza tra sguazzare e nuotare. Che siano cose diverse ora lo so, non solo teoricamente: lo so praticamente. Quindi faccio, sperimento, provo, cambio un movimento alla volta in attesa di riprovare quella sensazione di eleganza che ormai ho sperimentato e quindi so riconoscere. Questa sensazione è la mia guida.
Non conto le vasche e nemmeno le bracciate, ma ricerco quella sensazione e per così dire “marco” quelle microstrategie che mi riavvicinano a quella sensazione per ritrovarle. Sono io il motore del mio apprendimento, non aspetto più che dal bordo l’istruttrice mi dica “bravo”.
5. Per esempio, ho scoperto che agitare le braccia e le gambe serve a poco, mentre estendere il corpo in avanti – come quando cerchi di acchiappare una ciliegia che sta su un ramo appena più in alto – funziona molto meglio. Ho scoperto anche che fissarsi un punto mezzo metro più avanti, vedersi con la mente un po’ più avanti, rende più semplice arrivarci davvero. Piccole cose così, che vengono da lontano, non solo dal nuoto (queste ultime sono vecchie regole dell’Aikido). Quindi c’è un generale richiamo e riuso anche di altre risorse che sembrano non avere niente a che fare col nuoto. Non si impara (solo) quello che ti insegnano, ma si recupera quello che si è imparato e gli si da un senso aggiuntivo. Competenza significa riuso.
Dalla descrizione che avete appena letto, se volete, togliete la piscina e mettete la scuola, sostituite il nuoto con la lingua 2: è lo stesso.Tutto questo, per la mia esperienza, non vale solo per il nuoto, per lo sport o le arti marziali, ma anche per le lingue, la fisica e la matematica, la programmazione. Non varrebbe, credo, solo per gli anziani che hanno ancora voglia di imparare, ma anche per i bambini.
Ai quali però nessuno dice di cercare di trovare un ritmo unico e inseguirlo, alla faccia dei voti.
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